Wright e le PraireHouses

Foto: "Willits House". La prima Prairehouse costruita da F. L. Wright
L’architettura negli Stati Uniti alla svolta del secolo – dal 1895 al 1905- era un’accozzaglia di stili eclettici, senza alcun legame, intellettuale e spirituale, con gli ideali del paese. Una pura applicazione pratica d’idee e di stili in voga, non collegati a concezioni strutturali o a tecniche costruttive. Tuttavia in questa epoca, l’industria edilizia attraversava una fase di radicale trasformazione. Facevano la loro comparsa nuovi materiali e, parallelamente erano messi a punto nuovi metodi di lavorazione.
Fin dalle sue prime opere Wright manifestò una conoscenza profonda e di rispetto costante nei confronti dei materiali naturali. La pietra, il mattone e il legno – materiali di base- erano da tempi ricoperti, verniciati, intonacati o modificati per rispondere alle esigenze di una moda o di un gusto particolare.
Wright utilizzò questi materiali nel modo che gli sembrava più conforme alla loro stessa natura, lasciando che le masse di pietra diventassero la caratteristica dell’edificio o sfruttando le ricche tonalità di terra del mattone cotto in masse e forme che lo esaltavano. Wright percepiva i nuovi materiali e i nuovi metodi d’impiego come una meravigliosa «cassetta di utensili» per l’architettura del ventunesimo secolo. L’acciaio associato al cemento armato avrebbe prodotto un’architettura nuova per il XX secolo.
Il palazzo di Johnson Wax, casa Kaufmann- «Fallingwater», la casa sulla cascata – la torre dei laboratori di ricerca della Johnson Wax e la torre della H.C Price, cosi come il Guggenheim Museum, sono tutti esempi dell’uso di strutture aggettanti in cemento armato. Fino ad allora il blocco di cemento era stato considerato «il parente povero» delle imprese di costruzione. Impiegato come elemento decorativo oltre meramente strutturale, per Wright il blocco acquistava i connotati del bello e poteva slanciarsi nell’aria e nella luce del sole.
La «Praire House» sta a indicare l’architettura abitativa realizzata da Wright dal 1900 al 1911. Nella sua autobiografia apparsa nel 1932, rivelava: «Amavo istintivamente la Prairie, per la sua grande semplicità. Mi resi conto che nella Prairie il più modesto rilievo sembrava alto – ogni particolare acquistava verticalità, le ampiezze si riducevano. Ebbi l’idea che i piani orizzontali negli edifici appartenessero al terreno. Cominciai a mettere in pratica questa idea». Questa qualità della linea orizzontale ampia e prolungata, le basse proporzioni strettamente legate al terreno, i grandi aggetti e i tetti dall’inclinazione dolce sono i tratti distintivi che caratterizzano la sua prima architettura residenziale. Dietro questi tratti esteriori, faceva la sua comparsa un linguaggio architettonico del tutto nuovo. Il primo passo verso questa direzione riguardò la pianta di piano: grandi spazi continui, articolati mediante semplici artifici architettonici, anziché da divisori e da porte. In seguito si sarebbe parlato di «pianta aperta».
Un altro sviluppo fu l’integrazione dell’edificio nel suo ambiente naturale. Queste prime case erano situate in periferia, in un’epoca in cui la periferia era poco popolata e il paesaggio era lasciato alla sua semplicità originaria. Wright riteneva che fosse opportuno, in questa Praire lunga e piatta, costruire a un livello superiore a quello del terreno, per avere una veduta migliore. Per questo ragione, portò il piano interrato al livello del pianterreno, che costituì uno zoccolo per il primo piano. Egli concepì i muri della casa come schermature, con le pareti che sorgevano direttamente dal basamento. Quanti ai materiali, egli consigliava l’impiego di un unico materiale anziché l’accostamento di materiali diversi, come era di moda all’epoca. Le case intonacate di cemento, erano interamente intonacate, con l’unica nota in risalto di una modanatura di legno. Lo stesso era per le costruzioni di mattoni. Se Wright accostava materiali diversi, come il laterizio e l’intonaco, lo faceva in maniera uniforme in tutta la costruzione, per ottenere in tal modo un’impressione di tranquillità e di semplicità.
Nelle «Praire Houses», il concetto di spazio interno divenne progressivamente il tratto caratteristico della costruzione. I muri esterni non sostenevano più la parte superiore, che si trattasse di un tetto a lastre o a falde. Con la presenza di aggetti, i supporti rientravano rispetto al filo di facciata, simili a braccia tese o rami d’albero. I muri esterni perdevano la loro funzione portante egli li chiamò schermi, sia ciechi – di cemento, pietra o legno – sia trasparenti – finestre e porte – finestra. Lo spazio interno acquistò in tal modo una nuova libertà e, al tempo stesso, un rapporto sempre più intimo con il paesaggio naturale esterno.La rigida distinzione di un tempo fra esterno e interno si dissolveva e il passaggio dall’uno all’altro diventava possibile e del tutto auspicabile.
Wright utilizzò questi materiali nel modo che gli sembrava più conforme alla loro stessa natura, lasciando che le masse di pietra diventassero la caratteristica dell’edificio o sfruttando le ricche tonalità di terra del mattone cotto in masse e forme che lo esaltavano. Wright percepiva i nuovi materiali e i nuovi metodi d’impiego come una meravigliosa «cassetta di utensili» per l’architettura del ventunesimo secolo. L’acciaio associato al cemento armato avrebbe prodotto un’architettura nuova per il XX secolo.
Il palazzo di Johnson Wax, casa Kaufmann- «Fallingwater», la casa sulla cascata – la torre dei laboratori di ricerca della Johnson Wax e la torre della H.C Price, cosi come il Guggenheim Museum, sono tutti esempi dell’uso di strutture aggettanti in cemento armato. Fino ad allora il blocco di cemento era stato considerato «il parente povero» delle imprese di costruzione. Impiegato come elemento decorativo oltre meramente strutturale, per Wright il blocco acquistava i connotati del bello e poteva slanciarsi nell’aria e nella luce del sole.
La «Praire House» sta a indicare l’architettura abitativa realizzata da Wright dal 1900 al 1911. Nella sua autobiografia apparsa nel 1932, rivelava: «Amavo istintivamente la Prairie, per la sua grande semplicità. Mi resi conto che nella Prairie il più modesto rilievo sembrava alto – ogni particolare acquistava verticalità, le ampiezze si riducevano. Ebbi l’idea che i piani orizzontali negli edifici appartenessero al terreno. Cominciai a mettere in pratica questa idea». Questa qualità della linea orizzontale ampia e prolungata, le basse proporzioni strettamente legate al terreno, i grandi aggetti e i tetti dall’inclinazione dolce sono i tratti distintivi che caratterizzano la sua prima architettura residenziale. Dietro questi tratti esteriori, faceva la sua comparsa un linguaggio architettonico del tutto nuovo. Il primo passo verso questa direzione riguardò la pianta di piano: grandi spazi continui, articolati mediante semplici artifici architettonici, anziché da divisori e da porte. In seguito si sarebbe parlato di «pianta aperta».
Un altro sviluppo fu l’integrazione dell’edificio nel suo ambiente naturale. Queste prime case erano situate in periferia, in un’epoca in cui la periferia era poco popolata e il paesaggio era lasciato alla sua semplicità originaria. Wright riteneva che fosse opportuno, in questa Praire lunga e piatta, costruire a un livello superiore a quello del terreno, per avere una veduta migliore. Per questo ragione, portò il piano interrato al livello del pianterreno, che costituì uno zoccolo per il primo piano. Egli concepì i muri della casa come schermature, con le pareti che sorgevano direttamente dal basamento. Quanti ai materiali, egli consigliava l’impiego di un unico materiale anziché l’accostamento di materiali diversi, come era di moda all’epoca. Le case intonacate di cemento, erano interamente intonacate, con l’unica nota in risalto di una modanatura di legno. Lo stesso era per le costruzioni di mattoni. Se Wright accostava materiali diversi, come il laterizio e l’intonaco, lo faceva in maniera uniforme in tutta la costruzione, per ottenere in tal modo un’impressione di tranquillità e di semplicità.
Nelle «Praire Houses», il concetto di spazio interno divenne progressivamente il tratto caratteristico della costruzione. I muri esterni non sostenevano più la parte superiore, che si trattasse di un tetto a lastre o a falde. Con la presenza di aggetti, i supporti rientravano rispetto al filo di facciata, simili a braccia tese o rami d’albero. I muri esterni perdevano la loro funzione portante egli li chiamò schermi, sia ciechi – di cemento, pietra o legno – sia trasparenti – finestre e porte – finestra. Lo spazio interno acquistò in tal modo una nuova libertà e, al tempo stesso, un rapporto sempre più intimo con il paesaggio naturale esterno.La rigida distinzione di un tempo fra esterno e interno si dissolveva e il passaggio dall’uno all’altro diventava possibile e del tutto auspicabile.
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